Cerchiamo di approfondire uno dei temi più rilevanti dei nostri tempi, sia dal punto di vista culturale che economico: il calo demografico. Fenomeno che caratterizza sostanzialmente buona parte del mondo occidentale (con alcune rare eccezioni). Con il consueto approccio data-dependent andiamo ad approfondire la dinamica demografica del nostro paese partendo dai dati di ISTAT che ci riporta qui i nati vivi su base annua, con un campione temporale di 24 anni (1999-2023). In questo senso lo scenario appare effettivamente desolante, ve ne fornisco una diapositiva:
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Grafico 1 |
In arancio trovate la tendenza che ho calcolato sui primi 11 anni del campione, da cui poi deriva l'estrapolazione che vedete tratteggiata. Lo scenario è particolarmente desolante a partire dal 2010 (che non è una data casuale, venendo appena dopo la crisi più devastante e destabilizzante del capitalismo moderno, quella del 2008).
Andiamo un po' più in profondità dei dati del grafico 1, scomponiamo i valori annui dei nati vivi per le consuete quattro aree territoriali in cui siamo soliti dividere il nostro paese: nord (grigio) centro (giallo) sud (azzurro) e isole (verde) cosi da poter osservare l'evoluzione nel contributo di ogni area alla crescita (fino al 2010) e poi alla decrescita demografica del paese. Otteniamo quanto vi mostro nel grafico 2:
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Grafico 2 |
Ora, da questo grafico è possibile effettuare alcune considerazioni (il nord rimane sempre la componente più rilevante) ma penso che per visualizzare in maniera ulteriormente significativa l'evoluzione dell'apporto di ogni area geografica del nostro paese alla (de)crescita demografica sia più utile fare il semplice rapporto % della quota di ogni area sul totale nazionale di tutti i nati vivi. Esce quanto segue:
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Grafico 3 |
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Grafico 4 |
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Grafico 5 |
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Grafico 6 |
Dandovi alcuni numeri: nel 1999 il Nord contribuiva alle nuove nascite per il 41,4%, nel 2023 per il 45,9%. Il Centro (come potete ben osservare dal grafico 4) nel 1999 contribuiva per il 18% alle nuove vite, nel 2023 si attesta sostanzialmente a quel livello (18,1%). Il Sud contribuiva nel 1999 per il 27,9% delle nuove nascite e nel 2023 per il 24,8%. Le Isole contribuivano per il 12,7% nel 1999, nel 2023 per l'11,2%.
In ogni caso da quanto vi ho appena mostrato a partire dal grafico 1, una plausibile osservazione è: il fattore economico incide pesantemente sulla scelta delle persone di mettere al mondo una nuova vita, questo le vediamo bene nel grafico 1, ove il crollo delle nascite avviene in prossimità della più grande crisi economica del capitalismo moderno, e lo vediamo anche se approfondiamo il contributo di ogni area del paese alle nascite, le aree ove sussiste tutt'oggi maggiore povertà (tecnicamente, le aree con minore pil pro capite) contribuiscono di meno alle nuove nascite. Di contro invece nell'area settentrionale del nostro paese, dove le prospettive economiche sono più positive, il contributo sul totale è andato a crescere per poi rimanere sostanzialmente costante fino ad oggi (grafico 3). Tuttavia questa osservazione sulla rilevanza delle prospettive economiche sulla scelta degli individui di fare figli viene totalmente smentita se allarghiamo l'orizzonte temporale. Prendendo la serie storica dei nati vivi di Istat 1926-2014 che trovate
qui e integrandola con la serie da cui siamo partiti nel grafico 1 (1998-2023) otteniamo uno scenario ancor più desolante che vi mostro di seguito:
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Grafico 7 |
In blu trovate la serie 1926-2014 in arancio la serie del Grafico 1 (1998-2023). Come potete vedere lo scenario è estremamente negativo. Escluso il rimbalzo post-bellico che si registra dopo il 1945 ed esclusa una lieve crescita tra il 1954 ed il 1964 i nati vivi su base annua sono andati sostanzialmente a diminuire dal 1926, in maniera decisa e netta a partire dal 1965.
Tuttavia, se si vuole comprendere appieno la dinamica demografica del nostro paese, guardare l'evoluzione dei nati vivi nel tempo è condizione necessaria ma non sufficiente. Anche in questo caso ISTAT ci viene in aiuto, ed i dati li prelevo da
qui. Visualizziamo quindi il tasso di fecondità totale (TFT) per area geografica.
Istat definisce così il TFT: ''Il tasso di fecondità totale è dato dalla somma dei quozienti specifici di fecondità calcolati rapportando, per ogni età feconda (15-49 anni), il numero di nati vivi all’ammontare medio annuo della popolazione femminile. Esprime in un dato anno di calendario il numero medio di figli per donna''. I dati che vi riporterò saranno per 1000 donne in età feconda (15-49 anni).
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Grafico 8 |
Il grafico 8 ci conferma quanto già avevamo osservato con i nati vivi, in particolare in relazione al Sud (e alle Isole). Se nel 1953 per 1000 donne al sud vi erano 3180 nati vivi (e quindi ogni donna in età fertile aveva in media 3,18 figli) , oggi (che per i dati disponibili significa 2015) ce ne sono 1290 (ogni donna ha in media 1,29 figli). Per le altre aree del paese (Nord-est/ovest - Centro) alla fine del campione temporale (2015) come potete vedere dal grafico 8 siamo sostanzialmente sugli stessi livelli del 1980, e cioè che su 1000 donne in età fertile, ci sono 1400 nati vivi (e quindi ogni donna ha in media 1,4 figli).
La dinamica demografica del nostro paese ci restituisce quindi un quadro estremamente complesso, dove fattori culturali di lungo periodo (vedi grafico 7) si mischiano e si sommano a fattori economici di breve periodo (vedi per questi ultimi grafico 1). Dal punto di vista culturale non so quali possano essere le leve su cui agire, c'è qualcuno (come gli amici della teoria redpill) che attribuiscono il calo nei tassi di fertilità e nei nati vivi all'emancipazione della donna (''ah quando non si poteva divorziare!!''). Il problema è che già nel 1974 (anno del referendum che superò il divorzio) i nati vivi erano su base annua in diminuzione, cosi come i tassi di fertilità totali per ogni area geografica del nostro paese (TFT, grafico 8).
(Abbiamo visto quanto è accaduto nel passato, vediamo ora quanto potrà accadere nel futuro...)
Istat sviluppa infatti anche alcune previsioni sul tasso di natalità per mille abitanti per i prossimi anni. In questo senso da excel mi sposto su mathlab per mostrarvi quanto segue:
(la previsione di ISTAT parte dal 2021 e arriva al 2080...)
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Grafico 9 |
L'interpretazione da dare è la seguente: se il tasso di natalità per mille abitanti è pari a 6,4 (come nel 2021 anno base) significa che, in media, per ogni mille persone nella popolazione ci sono 6,4 nascite l'anno. Secondo le previsioni ISTAT nel 2040 arriveremo a 7 nascite annuali per mille abitanti per poi riscendere al 6,4 nel 2060. C'è una certa oscillazione che potete constatare guardando il grafico 9, ma rispetto a quanto abbiamo visto fino ad ora si potrebbe quasi concludere che non si tratta di una prospettiva poi così tragica, del resto secondo le previsioni ISTAT le nascite per mille abitanti andranno ad aumentare per i prossimi 15 anni (fino al 2040). Tuttavia per fare previsioni sulla dinamica demografica di un paese non basta guardare al numero delle nascite....del resto, ragionando nella maniera più basilare possibile, ogni anno ci sono persone che nascono ma, ahinoi, ci sono anche persone che muoiono. Escludendo il fenomeno migratorio, se nel tempo muoiono più persone di quante ne nascono la popolazione andrà a ridursi, viceversa se nascono più persone di quante ne muoiono la popolazione crescerà. Utilizzando la stessa prassi del grafico 9 visualizziamo le previsioni Istat sul tasso di mortalità per mille abitanti dal 2021 al 2080, visualizzando il tasso di mortalità (escludiamo come detto i movimenti migratori che possono altresì incidere sugli sviluppi della popolazione) possiamo trarre delle conclusioni sul futuro demografico del nostro paese:
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Grafico 10 |
Come potete vedere la situazione non è affatto positiva. Nell'anno base 2021 per mille abitanti ci sono, in media, 11 decessi (contro le 6,4 nascite), nel 2040 per mille abitanti avremo in media oltre 13 decessi annui (contro le 7 nascite). Situazione che va progressivamente ad aggravarsi, nel 2065 secondo il modello di previsione ISTAT avremo 16,6 decessi annui medi per mille abitanti (contro 6,7 nascite). Lo scenario è semplicemente desolante.
L'importanza economica di fermare questa emorragia demografica è tuttavia cruciale. Ne va innanzitutto della sostenibilità del nostro sistema previdenziale (quattro parole queste che fanno assai fatica a stare insieme di questi tempi), e della futura crescita economica del paese.
Tanto vi dovevo, ci risentiamo più avanti...
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