Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare dell'esperienza del governo Monti con una persona che ne dovrebbe sapere abbastanza. Chiaramente sotto il profilo macroeconomico che, come sapete, è la mia materia di interesse. Il tema centrale, non ve la voglio fare lunga, era legato al fatto che quel governo, in un contesto economico recessivo già avviato, decise, data la grave situazione delle nostre finanze pubbliche, di adottare politiche fiscali fortemente restrittive. Questa scelta è apparentemente in contraddizione con quella che è la teoria macroeconomica standard, che prevederebbe che durante fasi recessive la politica fiscale sia espansiva per rilanciare e sostenere l'economia depressa, e sia invece restrittiva e conservativa quando l'economia cresce. Secondo la teoria standard la politica fiscale dovrebbe dunque operare in senso anti-ciclico, mentre invece, nel caso del Presidente Monti, operò in senso pro-ciclico. Quello che ho sempre pensato vada aggiunto a questa considerazione fondamentalmente corretta, considerazione che è stata anche ampiamente utilizzata dagli economisti critici di quell'esperienza di governo, è che in realtà in Italia negli anni precedenti (e anche nei successivi), la politica fiscale non sia mai stata realmente anti-ciclica. Del resto, politica fiscale anti-ciclica significa si spendere quando le cose vanno male, ma significa anche tagliare le spese ed essere lungimiranti quando le cose vanno bene e l'economia cresce, e sappiamo che ai politici 'Itagliani' non piace affatto tagliare le spese, ne tantomeno essere lungimiranti. Questa discussione mi ha dato l'input per cercare una risposta nei numeri, cercando quindi di rispondere alla seguente domanda: è vero che in Italia la politica fiscale ha sempre avuto un atteggiamento pro-ciclico, portando la politica a spendere tanto anche in fasi di relativo benessere? Perchè se questo fosse vero, l'argomentazione secondo cui Monti sbagliò a fare politiche pro-cicliche, crollerebbero istantaneamente, nel senso che prima o poi un atteggiamento più restrittivo dal punto di vista fiscale andava adottato, e nel caso di Monti, questo coincise con un periodo recessivo agendo quindi in senso pro-ciclico, esattamente come si agiva in senso pro-ciclico prima quando in fasi 'normali' la politica sguazzava nelle espansioni fiscali.
Come riferimento per i dati utilizzo il Database WEO del Fondo Monetario Internazionale. Le variabili che seleziono per cercare di rispondere alla domanda di cui sopra sono le seguenti: selezioniamo subito il debito pubblico netto in % del Pil, che è una delle variabili più rilevanti che non possiamo non considerare in relazione a quegli anni e a quell'esperienza di governo. Seleziono poi il saldo primario di bilancio pubblico, espresso anch'esso in % del Pil che misura in sostanza quanto un governo spende o risparmia rispetto alla dimensione totale dell'economia esclusi gli interessi sul debito pubblico. Se questo saldo è maggiore di 0 significa che lo Stato spende di meno di quello che incassa (al netto degli interessi sul debito), viceversa se negativo significa che spende di più di quello che incassa. Mi manca ora una variabile che personalmente definisco 'di equilibrio'. E cioè quella variabile che mi permette di comprendere quale sia, in un dato momento storico, lo stato di salute di un'economia. Scelgo quindi in questo caso l'output gap in % del Pil. Che cos'è l'output gap? L'output gap è la differenza tra il Pil effettivo osservato in un dato momento, ed il Pil Potenziale di un'economia. Il Pil potenziale è un concetto un po' astratto, nel senso che non ne esiste una misura precisa, esistono delle stime, che diverse istituzioni globali (come il FMI) sviluppano. Il Pil potenziale rappresenta il livello di Pil che un'economia data la sua struttura (cioè dato il suo mercato del lavoro, la sua produttività, la sua capacità produttiva) può sostenere nel lungo periodo senza generare pressioni inflazionistiche.
(...su queste stime di Pil potenziale, siccome gioca un ruolo il noto filtro di Kalman, scriverò forse qualcosa piu avanti....)
In sostanza il discorso è il seguente: quando il Pil effettivo osservato è maggiore del Pil potenziale di un'economia (il che implica un output gap positivo), quell'economia sta vivendo sopra le sue possibilità, e cioè sta vivendo una fase di crescita superiore a quella sostenibile nel lungo periodo. In un contesto di questo tipo (output gap positivo) ci dovremmo aspettare, secondo la teoria economica, una politica fiscale contenuta e responsabile (dovremmo quindi aspettarci in riferimento alle altre variabili che abbiamo selezionato un avanzo primario di bilancio pubblico, ed una riduzione del debito).
Viceversa quando il Pil effettivo osservato è minore del Pil potenziale (il che implica output gap negativo) significa che quell'economia sta vivendo una fase negativa nella quale è sotto il livello di crescita che potrebbe sostenere data la sua struttura produttiva nel lungo periodo. In questo caso, se la Politica fiscale opera correttamente (cioè in senso anti-ciclico) dovremmo aspettarci un'espansione fiscale (e ipoteticamente possiamo accettare un aumento del debito ed un disavanzo primario).
Queste sono le nozioni teoriche da cui parto. Vediamo però i numeri. Sviluppo questa analisi per Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi a partire dal 1995 ad oggi. Nelle barre grigie vedete il debito in % del Pil (lo leggete sull'asse di destra), la linea tratteggiata è invece l'output gap (ricordate, quando è negativo ci aspettiamo una politica fiscale espansiva, quando è positivo una restrittiva) ed infine la linea 'completa' rappresenta la terza variabile che ho selezionato e cioè il saldo primario di bilancio pubblico (output gap e saldo primario si leggono entrambi sull'asse di sinistra).
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