Dopo un lungo periodo di assenza, vi devo quantomeno un minimo commento sulla vicenda dazi, di cui abbiamo diffusamente parlato già qui e qui. In particolare, come ho già detto su X, consiglio a chiunque abbia intenzione di farsi un'idea seria e quanto più approfondita possibile sui dazi di Trump e sulla prospettiva delle politiche commerciali statunitensi di leggersi questo documento di Stephen Miran, Chief economist della Casa Bianca. Stephen Miran è stato allievo di Feldstein, quel Feldstein che nel dibattito pubblico italiano ci siamo spesso trovati citato anche nei 'pregiati' salotti televisivi italici quando si discuteva di euro. E questo già ci da un grande indizio, e cioè ci permette di comprendere come l'impostazione teorica ed ideologica di chi criticava aspramente l'adozione dell'euro in Italia è la medesima di chi oggi negli Stati Uniti progetta e sostiene le politiche tariffarie e protezioniste dell'amministrazione Trump. Il punto di contatto tra questi due mondi, il 'no euro' italico ed il 'si dazio' statunitense è il concetto di 'valuta forte'.
Cosi come l'euro era considerata un valuta troppo 'forte' per l'economia italiana, finendo per penalizzare il nostro export a vantaggio di quello tedesco (ricordate il discorso? Ve lo ricordo io, faceva più o meno cosi:
'l'euro è stato costruito in riferimento a diversi paesi con diverse valute e riflette inevitabilmente una 'media' di queste - l'euro risulterà quindi debole per alcuni (aka la Germania) spingendoli verso l'alto e forte per altri (aka noi) spingendoci verso il basso'
In maniera analoga il dollaro è considerato, per Miran ed i suoi, strutturalmente troppo forte per gli Stati Uniti finendo per penalizzare l'economia americana in particolare in alcuni settori (come il manifatturiero). Attenzione perchè il ragionamento di Miran parte comunque da una considerazione che dal punto di vista della teoria economica condivido, nel senso che secondo la teoria economica standard, quella che assume la perfetta concorrenza, innanzi ad un abnorme deficit commerciale (come quello che gli Stati Uniti hanno ormai da molti anni) il tasso di cambio dovrebbe funzionare come meccanismo di aggiustamento. Mi spiego meglio: coloro che sono in forte deficit (come gli Stati Uniti) importando beni/servizi denominati in valuta estera molto più di quanto esportano (in dollari), dovrebbero vendere la propria valuta (cioè il dollaro) per acquistare la valuta estera con cui pagare le importazioni, causando appunto un deprezzamento del dollaro che rende automaticamente l'export statunitense più conveniente sui mercati globali. Tuttavia questo non avviene, ed è evidentemente una distorsione. Non avviene per diversi motivi ma principalmente per uno e cioè l'enorme credibilità e fiducia che c'è in giro per il mondo per l'economia americana. Questo significa che soprattutto nei momenti di incertezza *tutti* in giro per il mondo voglio detenere assets o titoli statunitensi (il cosiddetto 'safety seeking' sui mercati finanziari) questo implica inevitabilmente un apprezzamento costante del dollaro che 'piu che compensa' il deprezzamento derivante dal deficit commerciale. Questo pone un problema reale di policy, nel senso che gli Stati Uniti non possono pensare di avere per sempre questo deficit commerciale di cui vi mostrai una diapositiva qui. Tuttavia se leggete Miran potete comprendere dove si vuole realmente andare a parare.
I dazi sono solo un mezzo per il reale obiettivo di Miran che è quello di una massiccia svalutazione del dollaro con cui potrà effettivamente provare a ridurre il deficit commerciale (ma a quale costo?...)
(Occhio alla parole, perchè deprezamento e svalutazione fanno riferimento allo stesso concetto, cioè alla perdita di valore di una valuta, ma da due cause diverse, il deprezzamento è frutto della dinamica di mercato, la svalutazione è intenzionale ed indotta)
Il problema è che l'unico modo per svalutare effettivamente il dollaro, è scardinare quel sentimento di fiducia che aleggia in giro per il mondo per l'economia americana, si deve bloccare l'enorme afflusso di capitali esteri che provoca il persistente apprezzamento del dollaro, si deve quindi minare la credibilità stessa dell'economia americana. Ed ecco che arrivano i dazi, e la comunicazione maldestra intorno ad essi (gli annunci contraddittori continui). La stessa metodologia di comunicazione rientra appieno nel meccanismo di trasmissione di imprevedibilità (e si sa che l'imprevedibilità e la precarietà sono nemiche degli investitori...)
Questo meccanismo sta funzionando? E' senza dubbio presto per dirlo, ma io due conti li ho fatti e ve li metto qui di seguito:
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