martedì 22 aprile 2025

Oh Dear IMF...

Continuo a lavorare sul calcolo del pil potenziale (e sulla tesi...). Oggi nel meeting primaverile dell'IMF è stato pubblicato il nuovo World Economic Outlook, ed io a proposito del Pil potenziale vi faccio vedere questo...




Le ultime quattro stime del Fondo Monetario sul Pil potenziale italiano (il FMI pubblica solo l'output gap in % del Pil potenziale, ma prendendo la serie del Pil effettivo osservato ricavare il potenziale non è difficile...). Diverse versioni del World Economic Outlook, diverse stime di potenziale...siamo sicuri che sia uno strumento affidabile per valutazioni di policy?

E' grande la confusione sotto al cielo...






sabato 19 aprile 2025

Estimating the output gap...

Come vi ho anticipato su X, parlando con il capo (aka 'el Jefe') abbiamo deciso di stimare noi, all'interno del progetto Kalistat, il pil potenziale italiano e quindi l'output gap, cosi da poterlo comparare alla stima molto negativa del Fondo Monetario Internazionale di cui vi ho parlato qui. Senza eccedere nei tecnicismi, provo a spiegarvi come abbiamo lavorato (il lavoro non è ancora terminato, come vi mostrerò di seguito sono giunto ad alcune stime che dovrò sottoporre al giudizio del Jefe).

Per stimare il Pil potenziale si parte dalla serie del Pil reale (chain linked) reperibile su ISTAT. Abbiamo lavorato sia su dati annuali che trimestrali (a noi per il confronto con l'IMF interessano i dati annuali, e dunque in questa sede vi mostrerò e mi riferirò esclusivamente ai dati annuali).

Per determinare il Pil potenziale dobbiamo inevitabilmente rivolgerci alle arti oscure dell'econometria. Il contesto softwaristico è quello di Matlab. In particolare abbiamo utilizzato uno 'State - Space Model' (SSM), un potente strumento matematico che viene tipicamente utilizzato per modellare variabili latenti (esattamente come il pil potenziale...). Tale modello ci permette di separare la componente di trend di una serie (come quella del Pil reale) dalla componente ciclica, e per la serie trimestrare ci permette anche di aggiustare per la componente stagionale che la serie presenta. Io avevo una funzione di questo tipo fornitami dal Jefe sulla quale ho iniziato a lavorare. La funzione iniziale che implementava il modello state-space era una funzione univariata, e cioè considerava solo i valori del pil reale effettivamente osservato per determinare il pil potenziale (in sostanza, la funzione prende la serie del pil reale effettiva importata da ISTAT, separa la componente ciclica dal trend, quel trend viene riportato come livello 'potenziale' dell'economia). Come potete comprendere quindi, questa prima versione del modello è estremamente minimale, nel senso che conduce alla stima di un Pil Potenziale che è esclusivamente determinato dal 'filtraggio' (via filtro di Kalman) della serie del Pil effettivo, non ci sono altre variabili che utilizziamo per rendere più 'credibile' questa stima di Pil potenziale. Ma arrivano già le prime sorprese, vi mostro i risultati del modello univariato in relazione alla stima dell'IMF e della Commissione Europea (dal database ufficiale AMECO): 






Come potete riscontrare anche voi, la stima della Commissione Europea, coincide praticamente perfettamente, con la mia stima di output gap con un modello univariato. Questo mi ha certamente fatto provare della soddisfazione per avere eseguito in maniera relativamente corretta la stima, ma ha anche fatto emergere in me alcune perplessità significative sulla bontà della stima della Commissione Europea. Soprattutto dal momento che quella stima di output gap che trovate su AMECO è utilizzata dalla Commissione anche per la valutazioni relative al Patto di Stabilità e Crescita e all'avvio di eventuali procedure d'infrazione....insomma cosa senza dubbio molto rilevante per la vita delle persone...esistendo tecniche di stima molto più sofisticate, siamo sicuri - con il massimo rispetto - che alla Commissione (ove dovrebbero esserci i 'kompetenti') lavorino in modo corretto?

In ogni caso invece, rimaniamo lontani dalla stima dell'IMF, su cui comunque come già vi ho anticipato qui, ho delle perplessità (non solo io, ndr). Nel senso che con un output gap negativo per 27 anni (eccetto la parentesi 2007-2009) non va a minare lo stesso concetto teorico ed empirico di ciclo economico?

In ogni caso, questa era la stima iniziale. Siamo andati oltre. E cioè abbiamo aggiunto un'altra variabile, per rendere la stima del Pil potenziale piu 'credibile' e con elementi che possano restuirle quella 'strutturalità' che il Pil potenziale per definizione dovrebbe avere. Il modello diventa quindi prima bivariato (la prima componente è sempre quella del Pil reale osservato) aggiungendo la forza lavoro (anche come proxy demografica) e poi trivariato aggiungendo gli occupati (proxy del mercato del lavoro). I risultati sono quelli che vi mostro di seguito:

(tolgo la stima di AMECO per facilità visiva perchè il grafico diventerebbe bello 'trafficato'; del resto sappiamo che la stima della Commissione è quasi perfettamente sovrapponibile alla nostra stima univariata)





Il modello trivariato accentua sia i punti di massimo che di minimo della precedente serie univariata come potete vedere. Ci restituisce un output gap maggiormente positivo rispetto al modello univariato nel periodo pre-crisi 2008 e nel post-covid, mentre invece segnala un output gap maggiormente negativo nella fase della crisi/post-crisi dei debiti sovrani. Notate comunque che entrambe le serie hanno lo stesso medesimo andamento di quella dell'IMF ma con un livello differente. Arriviamo poi al lavoro odierno (ancora da ultimare ma vi mostro i risultati provvisori). Aggiungo altre due variabili, la TFP (total factor productivity) per riflettere la capacità produttiva della nostra economia, e l'inflazione (il tasso di variazione del consumer price index - CPI). Prendo la differenza logaritmica (deltalog) di entrambe le variabili. L'inflazione la tratto come variabile osservata del modello (esattamente come forza lavoro e occupati, variabile osservata significa che il modello utilizza i valori effettivi verificati come input informativi per stimare la variabile latente cioè il pil potenziale). La difficoltà arriva per la gestione della TFP che Decido di trattare come variabile latente.

(questo aspetto forse andrà rivisto....)

Comunque il risultato è quello che segue: 




La serie appena stimata parte dal 2002 perchè i dati del CPI sono disponibili su ISTAT solo da quella data. Il risultato è abbastanza simile a quello del modello trivariato (il modello attuale considera meno negativo l'output gap nel periodo crisi debiti sovrani/governo Monti) mentre conferma gli output gap fortemente positivi del pre-crisi 2008 e post covid. Il lavoro è ancora provvisorio, e lo collegheremo quando la stima sarà definitiva al saldo fiscale e al saldo primario, per poter valutare il comportamento della politica fiscale italiana negli ultimi 30 anni. Per il confronto con la stima dell'IMF il giudizio del 'Jefe' sul mio lavoro e sul paragone dell'IMF sarà insindacabile, e vi aggiornerò.

Intanto, buona pasqua macroeconomica a tutti...




mercoledì 16 aprile 2025

Disciplina fiscale e dove trovarla

Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare dell'esperienza del governo Monti con una persona che ne dovrebbe sapere abbastanza. Chiaramente sotto il profilo macroeconomico che, come sapete, è la mia materia di interesse. Il tema centrale, non ve la voglio fare lunga, era legato al fatto che quel governo, in un contesto economico recessivo già avviato, decise, data la grave situazione delle nostre finanze pubbliche, di adottare politiche fiscali fortemente restrittive. Questa scelta è apparentemente in contraddizione con quella che è la teoria macroeconomica standard, che prevederebbe che durante fasi recessive la politica fiscale sia espansiva per rilanciare e sostenere l'economia depressa, e sia invece restrittiva e conservativa quando l'economia cresce. Secondo la teoria standard la politica fiscale dovrebbe dunque operare in senso anti-ciclico, mentre invece, nel caso del Presidente Monti, operò in senso pro-ciclico. Quello che ho sempre pensato vada aggiunto a questa considerazione fondamentalmente corretta, considerazione che è stata anche ampiamente utilizzata dagli economisti critici di quell'esperienza di governo, è che in realtà in Italia negli anni precedenti (e anche nei successivi), la politica fiscale non sia mai stata realmente anti-ciclica. Del resto, politica fiscale anti-ciclica significa si spendere quando le cose vanno male, ma significa anche tagliare le spese ed essere lungimiranti quando le cose vanno bene e l'economia cresce, e sappiamo che ai politici 'Itagliani' non piace affatto tagliare le spese, ne tantomeno essere lungimiranti. Questa discussione mi ha dato l'input per cercare una risposta nei numeri, cercando quindi di rispondere alla seguente domanda: è vero che in Italia la politica fiscale ha sempre avuto un atteggiamento pro-ciclico, portando la politica a spendere tanto anche in fasi di relativo benessere? Perchè se questo fosse vero, l'argomentazione secondo cui Monti sbagliò a fare politiche pro-cicliche, crollerebbero istantaneamente, nel senso che prima o poi un atteggiamento più restrittivo dal punto di vista fiscale andava adottato, e nel caso di Monti,  questo coincise con un periodo recessivo agendo quindi in senso pro-ciclico, esattamente come si agiva in senso pro-ciclico prima quando in fasi 'normali' la politica sguazzava nelle espansioni fiscali. 

Come riferimento per i dati utilizzo il Database WEO del Fondo Monetario Internazionale. Le variabili che seleziono per cercare di rispondere alla domanda di cui sopra sono le seguenti: selezioniamo subito il debito pubblico netto in % del Pil, che è una delle variabili più rilevanti che non possiamo non considerare in relazione a quegli anni e a quell'esperienza di governo. Seleziono poi il saldo primario di bilancio pubblico, espresso anch'esso in % del Pil che misura in sostanza quanto un governo spende o risparmia rispetto alla dimensione totale dell'economia esclusi gli interessi sul debito pubblico. Se questo saldo è maggiore di 0 significa che lo Stato spende di meno di quello che incassa (al netto degli interessi sul debito), viceversa se negativo significa che spende di più di quello che incassa. Mi manca ora una variabile che personalmente definisco 'di equilibrio'. E cioè quella variabile che mi permette di comprendere quale sia, in un dato momento storico, lo stato di salute di un'economia. Scelgo quindi in questo caso l'output gap in % del Pil. Che cos'è l'output gap? L'output gap è la differenza tra il Pil effettivo osservato in un dato momento, ed il Pil Potenziale di un'economia. Il Pil potenziale è un concetto un po' astratto, nel senso che non ne esiste una misura precisa, esistono delle  stime, che diverse istituzioni globali (come il FMI) sviluppano. Il Pil potenziale rappresenta il livello di Pil che un'economia data la sua struttura (cioè dato il suo mercato del lavoro, la sua produttività, la sua capacità produttiva) può sostenere nel lungo periodo senza generare pressioni inflazionistiche.


(...su queste stime di Pil potenziale, siccome gioca un ruolo il noto filtro di Kalman, scriverò forse qualcosa piu avanti....)


In sostanza il discorso è il seguente: quando il Pil effettivo osservato è maggiore del Pil potenziale di un'economia (il che implica un output gap positivo), quell'economia sta vivendo sopra le sue possibilità, e cioè sta vivendo una fase di crescita superiore a quella sostenibile nel lungo periodo. In un contesto di questo tipo (output gap positivo) ci dovremmo aspettare, secondo la teoria economica, una politica fiscale contenuta e responsabile (dovremmo quindi aspettarci in riferimento alle altre variabili che abbiamo selezionato un avanzo primario di bilancio pubblico, ed una riduzione del debito).

Viceversa quando il Pil effettivo osservato è minore del Pil potenziale (il che implica output gap negativo) significa che quell'economia sta vivendo una fase negativa nella quale è sotto il livello di crescita che potrebbe sostenere data la sua struttura produttiva nel lungo periodo. In questo caso, se la Politica fiscale opera correttamente (cioè in senso anti-ciclico) dovremmo aspettarci un'espansione fiscale (e ipoteticamente possiamo accettare un aumento del debito ed un disavanzo primario). 

Queste sono le nozioni teoriche da cui parto. Vediamo però i numeri. Sviluppo questa analisi per Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi a partire dal 1995 ad oggi. Nelle barre grigie vedete il debito in % del Pil (lo leggete sull'asse di destra), la linea tratteggiata è invece l'output gap (ricordate, quando è negativo ci aspettiamo una politica fiscale espansiva, quando è positivo una restrittiva) ed infine la linea 'completa' rappresenta la terza variabile che ho selezionato e cioè il saldo primario di bilancio pubblico (output gap e saldo primario si leggono entrambi sull'asse di sinistra).





La prima considerazione che mi sorge se 'zoommiamo' sull'Italia, è che l'output gap è sostanzialmente sempre negativo, tranne una breve parentesi tra il 2005 ed il 2008 ed il post covid attuale. Nei fatti questo ci potrebbe portare a conclusioni affrettate e molto forti, nel senso che un output gap negativo per molti anni giustificherebbe parte della tendenza espansiva della poltica 'itagliana'. L'output gap come già detto è frutto di una stima, tipicamente utilizzando filtri (Kalman filter o HP) che la rendono particolarmente sensibile ai valori marginali della serie. L'utilizzo dell'output gap ha quindi alcune controindicazioni. Scelgo comunque di utilizzare l'output gap e procedere lungo questo path dal momento che diverse istituzioni economiche (ECB e Commissione europea su tutti) ne fanno ampio utilizzo per le loro valutazioni di policy. L'esperimento che potrò magari sostenere più avanti, è utilizzare stime dell'output gap di altri istituti. Ma oggi come detto procediamo su questa strada (usiamo al stima del FMI).
Come potete vedere nella prima fase del campione temporale siamo gli unici che registrano un gap cosi marcato tra saldo primario (sempre positivo - quindi in avanzo - fino al 2008) e output gap, che è negativo. 
Ora nello specifico se zoommiamo sul periodo 2008-2013, periodo nel quale si insedia ed opera il governo Monti, nei 4 paesi che ho selezionato come campione siamo gli unici che gestiscono la crisi in maniera cosi 'moderata' , questo chiaramente, anche perchè le situazioni di partenza erano diverse. 







Francia e Olanda data la crisi rispondono con un forte aumento delle spese (saldo primario negativo -4% rispetto al Pil in Olanda e -5% in Francia). In Germania la reazione è più moderata (-2,29%), in Italia si registra un disavanzo primario 'solo' dello 0,085% sul Pil. Si può chiaramente obiettare, come del resto ben si vede dal grafico, che la posizione debitoria netta in % del Pil era molto diversa tra i 4 paesi (noi avevamo e abbiamo tutt'oggi quella nettamente più alta). Tuttavia il debito netto in % del Pil è comunque cresciuto durante il governo Monti ('l'effetto denominatore' del rapporto debito/pil)....dunque dov'è la ratio?

Ciò che poi mi colpisce è se confrontiamo il saldo primario in % del Pil antecedente alla crisi (e quindi al riquadro rosso). Noi eravamo il paese con gli avanzi primari più importanti in % del Pil sino al 2008. E anche questo è un qualcosa che tipicamente non emerge nel dibattito pubblico. 


(nel grafico di seguito noi siamo la barra completamente colorata di nero, esattamente quella che per i primi anni del campione svetta di più.....)







Quello che mostrano questi dati è che non eravamo poi cosi fiscalmente indisciplinati e irresponsabili come si tende a pensare, quantomeno rispetto ad altri paesi europei come Germania ed Olanda, che rientrano tipicamente nei 'falchi'. Anzi per paradosso data quella che è l'indicazione dell'output gap (che è una stima da prendere con le pinze e che più avanti mi prenderò la briga di confrontare con altre stime di altri istituti) la politica fiscale sarebbe dovuta essere più espansiva.

Va sempre sottolineato che la nostra posizione debitoria è (come abbiamo visto nei grafici sopra) molto più grave rispetto a quella degli altri, e questo implica maggiore necessità di registrare avanzi primari più cospicui e rilevanti, avanzi che però nei fatti in quel periodo abbiamo registrato come ben si vede nel grafico appena sopra. Diamo uno sguardo in chiusura a quanto accade al saldo primario in tempi più recenti: 








Prima osservazione, nel 2012 (governo Monti in carica da 1 anno) registriamo l'avanzo in % del Pil più significativo, in un contesto dove Francia e Olanda registrano disavanzi. Nel 2021 registriamo il peggior disavanzo tra i paesi selezionati (c'era la crisi covid ma c'era anche Draghi...). Nel 2024 siamo i 'meno peggio' e per il 2025 il FMI prevede un lieve avanzo, in controtendenza con gli altri paesi del campione. Sottolineo che la Germania, come noi, non registra un avanzo primario dal 2019...

Tornando però alla domanda regina di questo post....quindi siamo stati veramente cosi indisciplinati dal punto di vista della politica fiscale prima del governo Monti? Si è speso più di quello che ci si poteva permettere in fasi di relativa crescita? 

Guardando questi numeri la risposta è no. Il discorso è tuttavia più ampio e le variabili da prendere in considerazione sono probabilmente più di quelle che qui vi ho mostrato. Monti ebbe comunque il merito di restituire un po' di credibilità internazionale e affidabilità al nostro paese, e di questo gli va dato atto. Tuttavia, guardando questi numeri crollano come castelli di sabbia diverse narrazioni. In ogni caso cercherò di mostrare questi grafici a chi di dovere, monitorerò le stime di output gap di altri istituti (perchè queste del FMI portano a conclusioni decisamente radicali) e poi potremo avere le idee ulteriormente più chiare...

La seduta è sospesa.



martedì 15 aprile 2025

Il Dollaro e la Trumponomics

Dopo un lungo periodo di assenza, vi devo quantomeno un minimo commento sulla vicenda dazi, di cui abbiamo diffusamente parlato già qui e qui. In particolare, come ho già detto su X, consiglio a chiunque abbia intenzione di farsi un'idea seria e quanto più approfondita possibile sui dazi di Trump e sulla prospettiva delle politiche commerciali statunitensi di leggersi questo documento di Stephen Miran, Chief economist della Casa Bianca. Stephen Miran è stato allievo di Feldstein, quel Feldstein che nel dibattito pubblico italiano ci siamo spesso trovati citato anche nei 'pregiati' salotti televisivi italici quando si discuteva di euro. E questo già ci da un grande indizio, e cioè ci permette di comprendere come l'impostazione teorica ed ideologica di chi criticava aspramente l'adozione dell'euro in Italia è la medesima di chi oggi negli Stati Uniti progetta e sostiene le politiche tariffarie e protezioniste dell'amministrazione Trump. Il punto di contatto tra questi due mondi, il 'no euro' italico ed il 'si dazio' statunitense è il concetto di 'valuta forte'. 

Cosi come l'euro era considerata un valuta troppo 'forte' per l'economia italiana, finendo per penalizzare il nostro export a vantaggio di quello tedesco (ricordate il discorso? Ve lo ricordo io, faceva più o meno cosi: 

'l'euro è stato costruito in riferimento a diversi paesi con diverse valute e riflette inevitabilmente una 'media' di queste - l'euro risulterà quindi debole per alcuni (aka la Germania) spingendoli verso l'alto e forte per altri (aka noi) spingendoci verso il basso'

In maniera analoga il dollaro è considerato, per Miran ed i suoi, strutturalmente troppo forte per gli Stati Uniti finendo per penalizzare l'economia americana in particolare in alcuni settori (come il manifatturiero). Attenzione perchè il ragionamento di Miran parte comunque da una considerazione che dal punto di vista della teoria economica condivido, nel senso che secondo la teoria economica standard, quella che assume la  perfetta concorrenza, innanzi ad un abnorme deficit commerciale (come quello che gli Stati Uniti hanno ormai da molti anni) il tasso di cambio dovrebbe funzionare come meccanismo di aggiustamento. Mi spiego meglio: coloro che sono in forte deficit (come gli Stati Uniti) importando beni/servizi denominati in valuta estera molto più di quanto esportano (in dollari), dovrebbero vendere la propria valuta (cioè il dollaro) per acquistare la valuta estera con cui pagare le importazioni, causando appunto un deprezzamento del dollaro che rende automaticamente l'export statunitense più conveniente sui mercati globali. Tuttavia questo non avviene, ed è evidentemente una distorsione. Non avviene per diversi motivi ma principalmente per uno e cioè l'enorme credibilità e fiducia che c'è in giro per il mondo per l'economia americana. Questo significa che soprattutto nei momenti di incertezza *tutti* in giro per il mondo voglio detenere assets o titoli statunitensi (il cosiddetto 'safety seeking' sui mercati finanziari) questo implica inevitabilmente un apprezzamento costante del dollaro che 'piu che compensa' il deprezzamento derivante dal deficit commerciale. Questo pone un problema reale di policy, nel senso che gli Stati Uniti non possono pensare di avere per sempre questo deficit commerciale di cui vi mostrai una diapositiva qui. Tuttavia se leggete Miran potete comprendere dove si vuole realmente andare a parare.

 I dazi sono solo un mezzo per il reale obiettivo di Miran che è quello di una massiccia svalutazione del dollaro con cui potrà effettivamente provare a ridurre il deficit commerciale (ma a quale costo?...)

(Occhio alla parole, perchè deprezamento e svalutazione fanno riferimento allo stesso concetto, cioè alla perdita di valore di una valuta, ma da due cause diverse, il deprezzamento è frutto della dinamica di mercato, la svalutazione è intenzionale ed indotta)

Il problema è che l'unico modo per svalutare effettivamente il dollaro, è scardinare quel sentimento di fiducia che aleggia in giro per il mondo per l'economia americana, si deve bloccare l'enorme afflusso di capitali esteri che provoca il persistente apprezzamento del dollaro, si deve quindi minare la credibilità stessa dell'economia americana. Ed ecco che arrivano i dazi, e la comunicazione maldestra intorno ad essi (gli annunci contraddittori continui). La stessa metodologia di comunicazione rientra appieno nel meccanismo di trasmissione di imprevedibilità (e si sa che l'imprevedibilità e la precarietà sono nemiche degli investitori...)


Questo meccanismo sta funzionando? E' senza dubbio presto per dirlo, ma io due conti li ho fatti e ve li metto qui di seguito:





Trovate i tassi di cambio nominali per diversi paesi (USD per  domestic currency, ciò significa che quando le curve che vedete scendono il dollaro si apprezza perchè servono meno dollari per acquistare un'unita di valuta domestica, quando le curve salgono il dollaro si deprezza, perchè servono più dollari per comprare quella stessa unità di valuta domestica)

Come potete vedere, dall'introduzione dei dazi (o meglio dovremmo dire dall'annuncio dei dazi, dal momento che attualmente sono sospesi, eccetto quelli per la Cina) si registra un generalizzato deprezzamento del dollaro rispetto a tutte le altre divise che ho rappresentato nel grafico. E' senza dubbio ancora presto per trarre conclusioni, ma l'idea suicidaria di Miran (del resto come dovremmo chiamarla se non suicidaria l'idea di far volutamente perdere credibilità al proprio paese?) sta funzionando.

Tanto vi dovevo signori....





martedì 1 aprile 2025

Toccata e fuga a Buenos Aires

Nei 10 minuti di pausa che ho vi mostro qualche dato ulteriore sull'Inflazione argentina di cui già abbiamo parlato qui. Ieri infatti su INDEC (l'istituto di statistica argentino) sono usciti i nuovi dati relativi al 2025. Ricordo che dal sito si scarica l'Indice dei prezzi al consumo che è, come si evince dal nome, un indice del livello dei prezzi. L'inflazione è il tasso di crescita di quell'indice del livello dei prezzi (nota tecnica definitoria che è sempre opportuno tenere a mente). Scaricati i dati mi metto a fare due conti ed il primo grafico che vi mostro è tipicamente quello che produce ISTAT per analizzare l'inflazione in Italia, e cioè la variazioni tendenziale dell'IPC (il corrispettivo inglese di YoY cioè Year over Year è cioè per capirci - quanto è variato l'indice e quindi l'inflazione, il mese di gennaio del 2018 rispetto al mese di gennaio del 2017) e la variazione congiunturale, che in inglese è nota come MoM cioè Month over Month e cioè la semplice variazione mensile dell'IPC.






Giusto per dare due numeri, il picco dell'YoY (in rosso) è relativo al maggio del 2024 dove si è sfondata quota 300% (per i precisini 305%, questo significa che quello che il marzo 2023 costava 1 pesos, il marzo 2024 costava 305 % in più e cioè 4.05 pesos). Oggi (agli ultimi dati disponibili usciti ieri) l'YoY sta all'88%. Il lavoro di Milei è evidente. Il secondo grafico che vi mostro è relativo alle cosiddette 'metriche' che mostrano diverse misure dell'inflazione. Questo tipo di rappresentazione permette di osservare sia i moviemnti di breve termine sia le tendenze più strutturali nell'andamento dei prezzi.







L'impennata è sempre li tra fine 2023 ed inizio 2024. Ricordo che Milei è in carica dal 10 dicembre del 2023....il grafico parla da sè....

La mia pausa è finita e dunque vi saluto, ci sentiamo...

I numeri della Striscia di Gaza dal 7 ottobre ad oggi

I dati relativi alle vittime e ai feriti nella Striscia di Gaza sono forniti su questo database dal Ministero della Salute di Gaza. Il data...