mercoledì 26 febbraio 2025

I dazi di Trump - breve atto terzo

Dal momento che pare che il Biondo d'oltreoceano si sia effettivamente deciso:



Mi accingo a fornirvi due ulteriori riflessioni (rispetto a quelle che abbiamo già fatto qui e qui) sulle conseguenze che questa scelta del biondo può avere sulle nostre imprese e sulla nostra economia. Prima considerazione doverosa:




Come potete vedere ( i dati vengono da coeweb.istat cioè da qui) gli Stati Uniti costituiscono il secondo mercato di sbocco per le imprese esportatrici italiane, e a conti fatti rappresentano circa il 10% di tutto l'export italiano nel mondo. 

Siccome continuo a leggere e sentire esponenti politici (tipicamente del cdx) che continuano a sostenere che le imprese italiane non abbiano nulla da temere dalle politiche protezioniste del biondo loro alleato d'oltreoceano, occorre ripetere alcune nozioni basilari di microeconomia.
Dal momento che la legge della domanda e dell'offerta prevede che la curva di domanda sia inclinata negativamente sul piano Q,P (dove Q sta per quantità e P per prezzo), e dal momento che la curva di domanda è inclinata negativamente per qualsiasi tipologia di bene (eccetto per quelli di Giffen o per quelli di Veblem - su cui non mi dilungo), questo implica inevitabilmente che se il prezzo di un determinato bene sale, la sua domanda scende! Che cosa fa il dazio che il biondo d'oltreoceano mette sulle nostre merci? Non farà altro che aumentarne il prezzo, disincentivandone l'acquisto. Ne consegue, e lo ripeto ancora una volta, che nessun dazio posto dal biondo potrà avere conseguenze positive sulle nostre imprese, nessuno! Sia esso del 25% o del 10%....

(a meno che le nostre imprese non siano tutte esportatrici di beni di Giffen - caso ahinoi purtroppo fortmente improbabile...). 

Seconda considerazione. Da Coeweb possiamo trovare anche dei dati settoriali che Istat raccoglie, questo ci permette di capire quali tipologie di beni vengono esportate maggiormente dal nostro paese verso il mondo. 



Guardate un po', non sarà mica che il biondo ha deciso di tassare le auto?!

Nel 2024 il nostro paese ha esportato verso l'estero 107 migliaia di tonnellate di autoveicoli per un valore di un miliardo e 762 milioni di euro. Cosi come ha esportato 133 migliaia di tonnellate di accessori e apparecchiature per automobili (principalmente verso la Germania, che poi però a sua volta esporta verso gli States, questi flussi li approfondiremo poi eventualmente più avanti) per un valore di un miliardo e 160 milioni di euro. Parliamo di un'indotto complessivo da quasi tre miliardi. Certo questo non è export esclusivamente verso gli Stati Uniti, ma ci restituisce comunque la rilevanza di questo settore (già in contrazione come potete vedere rispetto al 2023, anche date le folli politiche europee) per il nostro export. Di conseguenza, cari amici, il biondo ci creerà un danno notevole, e per molte persone (chiedere agli imprenditori dell'automotive ed ai lavoratori) un danno pesante!

Detto questo, io Sabato mattina parto per NYC, ma di certo il biondo non rinsavirà.....

sabato 22 febbraio 2025

Il calo demografico è un fenomeno culturale o economico?

Cerchiamo di approfondire uno dei temi più rilevanti dei nostri tempi, sia dal punto di vista culturale che economico: il calo demografico. Fenomeno che caratterizza sostanzialmente buona parte del mondo occidentale (con alcune rare eccezioni). Con il consueto approccio data-dependent andiamo ad approfondire la dinamica demografica del nostro paese partendo dai dati di ISTAT che ci riporta qui i nati vivi su base annua, con un campione temporale di 24 anni (1999-2023). In questo senso lo scenario appare effettivamente desolante, ve ne fornisco una diapositiva:


Grafico 1



In arancio trovate la tendenza che ho calcolato sui primi 11 anni del campione, da cui poi deriva l'estrapolazione che vedete tratteggiata. Lo scenario è particolarmente desolante a partire dal 2010 (che non è una data casuale, venendo appena dopo la crisi più devastante e destabilizzante del capitalismo moderno, quella del 2008).

Andiamo un po' più in profondità dei dati del grafico 1, scomponiamo i valori annui dei nati vivi per le consuete quattro aree territoriali in cui siamo soliti dividere il nostro paese: nord (grigio) centro (giallo) sud (azzurro) e isole (verde) cosi da poter osservare l'evoluzione nel contributo di ogni area alla crescita (fino al 2010) e poi alla decrescita demografica del paese. Otteniamo quanto vi mostro nel grafico 2: 


Grafico 2


Ora, da questo grafico è possibile effettuare alcune considerazioni (il nord rimane sempre la componente più rilevante) ma penso che per visualizzare in maniera ulteriormente significativa l'evoluzione dell'apporto di ogni area geografica del nostro paese alla (de)crescita demografica sia più utile fare il semplice rapporto % della quota di ogni area sul totale nazionale di tutti i nati vivi. Esce quanto segue: 



Grafico 3



Grafico 4 


Grafico 5


Grafico 6


Dandovi alcuni numeri: nel 1999 il Nord contribuiva alle nuove nascite per il 41,4%, nel 2023 per il  45,9%. Il Centro (come potete ben osservare dal grafico 4) nel 1999 contribuiva per il 18% alle nuove vite, nel 2023 si attesta sostanzialmente a quel livello (18,1%). Il Sud contribuiva nel 1999 per il 27,9% delle nuove nascite e nel 2023 per il 24,8%. Le Isole contribuivano per il 12,7% nel 1999, nel 2023 per l'11,2%. 

In ogni caso da quanto vi ho appena mostrato a partire dal grafico 1, una plausibile osservazione è: il fattore economico incide pesantemente sulla scelta delle persone di mettere al mondo una nuova vita, questo le vediamo bene nel grafico 1, ove il crollo delle nascite avviene in prossimità della più grande crisi economica del capitalismo moderno, e lo vediamo anche se approfondiamo il contributo di ogni area del paese alle nascite, le aree ove sussiste tutt'oggi maggiore povertà (tecnicamente, le aree con minore pil pro capite) contribuiscono di meno alle nuove nascite. Di contro invece nell'area settentrionale del nostro paese, dove le prospettive economiche sono più positive, il contributo sul totale è andato a crescere per poi rimanere sostanzialmente costante fino ad oggi (grafico 3). Tuttavia questa osservazione sulla rilevanza delle prospettive economiche sulla scelta degli individui di fare figli viene totalmente smentita se allarghiamo l'orizzonte temporale. Prendendo la serie storica dei nati vivi di Istat 1926-2014 che trovate qui e integrandola con la serie da cui siamo partiti nel grafico 1 (1998-2023) otteniamo uno scenario ancor più desolante che vi mostro di seguito: 


Grafico 7


In blu trovate la serie 1926-2014 in arancio la serie del Grafico 1 (1998-2023). Come potete vedere lo scenario è estremamente negativo. Escluso il rimbalzo post-bellico che si registra dopo il 1945 ed esclusa una lieve crescita tra il 1954 ed il 1964 i nati vivi su base annua sono andati sostanzialmente a diminuire dal 1926, in maniera decisa e netta a partire dal 1965. 

Tuttavia, se si vuole comprendere appieno la dinamica demografica del nostro paese, guardare l'evoluzione dei nati vivi nel tempo è condizione necessaria ma non sufficiente. Anche in questo caso ISTAT ci viene in aiuto, ed i dati li prelevo da qui. Visualizziamo quindi il tasso di fecondità totale (TFT) per area geografica. 

Istat definisce così il TFT: ''Il tasso di fecondità totale è dato dalla  somma dei quozienti specifici di fecondità calcolati rapportando, per ogni età feconda (15-49 anni), il numero di nati vivi all’ammontare medio annuo della popolazione femminile. Esprime in un dato anno di calendario il numero medio di figli per donna''. I dati che vi riporterò saranno per 1000 donne in età feconda (15-49 anni).


Grafico 8


Il grafico 8 ci conferma quanto già avevamo osservato con i nati vivi, in particolare in relazione al Sud (e alle Isole). Se nel 1953 per 1000 donne al sud vi erano 3180 nati vivi (e quindi ogni donna in età fertile aveva in media 3,18 figli) , oggi (che per i dati disponibili significa 2015) ce ne sono 1290 (ogni donna ha in media 1,29 figli). Per le altre aree del paese (Nord-est/ovest - Centro) alla fine del campione temporale (2015) come potete vedere dal grafico 8 siamo sostanzialmente sugli stessi livelli del 1980, e cioè che su 1000 donne in età fertile, ci sono 1400 nati vivi (e quindi ogni donna ha in media 1,4 figli).

La dinamica demografica del nostro paese ci restituisce quindi un quadro estremamente complesso, dove fattori culturali di lungo periodo (vedi grafico 7) si mischiano e si sommano a fattori economici di breve periodo (vedi per questi ultimi grafico 1). Dal punto di vista culturale non so quali possano essere le leve su cui agire, c'è qualcuno (come gli amici della teoria redpill) che attribuiscono il calo nei tassi di fertilità e nei nati vivi all'emancipazione della donna (''ah quando non si poteva divorziare!!''). Il problema è che già nel 1974 (anno del referendum che superò il divorzio) i nati vivi erano su base annua in diminuzione, cosi come i tassi di fertilità totali per ogni area geografica del nostro paese (TFT, grafico 8).

(Abbiamo visto quanto è accaduto nel passato, vediamo ora quanto potrà accadere nel futuro...)

Istat sviluppa infatti anche alcune previsioni sul tasso di natalità per mille abitanti per i prossimi anni. In questo senso da excel mi sposto su mathlab per mostrarvi quanto segue:

(la previsione di ISTAT parte dal 2021 e arriva al 2080...)

Grafico 9

 
L'interpretazione da dare è la seguente: se il tasso di natalità per mille abitanti è pari a 6,4 (come nel 2021 anno base) significa che, in media, per ogni mille persone nella popolazione ci sono 6,4 nascite l'anno. Secondo le previsioni ISTAT nel 2040 arriveremo a 7 nascite annuali per mille abitanti per poi riscendere al 6,4 nel 2060. C'è una certa oscillazione che potete constatare guardando il grafico 9, ma rispetto a quanto abbiamo visto fino ad ora si potrebbe quasi concludere che non si tratta di una prospettiva poi così tragica, del resto secondo le previsioni ISTAT le nascite per mille abitanti andranno ad aumentare per i prossimi 15 anni (fino al 2040). Tuttavia per fare previsioni sulla dinamica demografica di un paese non basta guardare al numero delle nascite....del resto, ragionando nella maniera più basilare possibile, ogni anno ci sono persone che nascono ma, ahinoi, ci sono anche persone che muoiono. Escludendo il fenomeno migratorio, se nel tempo muoiono più persone di quante ne nascono la popolazione andrà a ridursi, viceversa se nascono più persone di quante ne muoiono la popolazione crescerà. Utilizzando la stessa prassi del grafico 9 visualizziamo le previsioni Istat sul tasso di mortalità per mille abitanti dal 2021 al 2080, visualizzando il tasso di mortalità (escludiamo come detto i movimenti migratori che possono altresì incidere sugli sviluppi della popolazione) possiamo trarre delle conclusioni sul futuro demografico del nostro paese:

Grafico 10


Come potete vedere la situazione non è affatto positiva. Nell'anno base 2021 per mille abitanti ci sono, in media, 11 decessi (contro le 6,4 nascite), nel 2040 per mille abitanti avremo in media oltre 13 decessi annui (contro le 7 nascite). Situazione che va progressivamente ad aggravarsi, nel 2065 secondo il modello di previsione ISTAT avremo 16,6 decessi annui medi per mille abitanti (contro 6,7 nascite). Lo scenario è semplicemente desolante. 

L'importanza economica di fermare questa emorragia demografica è tuttavia cruciale. Ne va innanzitutto della sostenibilità del nostro sistema previdenziale (quattro parole queste che fanno assai fatica a stare insieme di questi tempi), e della futura crescita economica del paese. 

Tanto vi dovevo, ci risentiamo più avanti...

martedì 11 febbraio 2025

Italia, Grecia e Germania a confronto...

Ieri ho terminato la sessione, dopodomani debbo partire verso la penisola iberica (precisamente alla volta della Comunità Valenciana) per alcuni giorni di stacco dopo settimane abbastanza impegnative. Oggi ho scaricato qualche ulteriore dato per continuare in parte la riflessione iniziata qui

Il database che utilizzo e che è sempre opportuno esplicitare è quello di Eurostat, nello specifico nella sezione 'Economy and Finance' utilizzando i conti nazionali annuali dal 1995 al 2023. Ricominciamo da dove ci eravamo lasciati, cioè da quanto segue: 


diapositiva 1 


(Stavolta ve l'ho messa più grande e si dovrebbe vedere meglio....)

Come si può facilmente constatare dal grafico che vi ho sviluppato sopra, dopo la crisi dei subprime e nello specifico una volta scoppiata la crisi dei debiti sovrani (per Grecia, Italia ed in parte Spagna) la divergenza del Pil reale dalla precedente tendenza ultra-decennale è evidente. Cercando di approfondire le motivazioni di questa divergenza ciò che si può fare è visualizzare le componenti (in termini reali, chiaramente) del Pil reale che abbiamo visualizzato sopra. Quello che mi interessa è confrontare l'andamento delle componenti del Pil reale italiano prima con quelle della Grecia (il peggiore della classe nella diapositiva 1) e poi con quello delle componenti della Germania (il migliore della classe), cosi da poter avere una visione più precisa e accurata di quanto vediamo nella diapositiva 1. Iniziamo con la Grecia:

(Piccola nota metodologica: in questo caso per comodità nello sviluppo del grafico ho segnato con Y il Pil reale che è esattamente quello mostrato nella diapositiva 1 semplicemente rinormalizzato a 100 nel 2010 per necessità, con G intendo i consumi pubblici, con C i consumi privati, con I gli investimenti totali, con X l'export di beni e servizi e con IM l'import di beni e servizi , tutti normalizzati a 100 nel 2010)

diapositiva 2

Qui non ci sono particolari sorprese, nel senso che quanto accaduto in Grecia a partire dalla crisi dei debiti sovrani rappresenta su scala molto più elevata quanto accaduto in Italia con il consolidamento fiscale del Governo Monti. In Grecia si registra una maggiore riduzione dei consumi pubblici ed un vero crollo dei consumi privati. Ciò che forse fa ancor più impressione è il crollo degli Investimenti totali (I). Gli investimenti totali (cioè i 'Total Investments' di Eurostat) racchiudono sia gli investimenti privati - crollati nella fase più acuta della crisi del debito greco - che gli investimenti pubblici, tagliati ampiamente per indirizzo politico (che qui ora non valutiamo nel merito). La dinamica dell'export e dell'import di beni e servizi è sostanzialmente analoga tra Grecia e Italia. 

Confrontiamo ora i valori dell'Italia con quelli della prima della classe, cioè la Germania, di seguito la diapositiva 3: 


diapositiva 3

Qui il confronto offre degli spunti a mio avviso più interessanti. In particolare ciò che merita attenzione è l'andamento dei consumi pubblici e degli investimenti totali. I consumi pubblici in Germania hanno avuto una dinamica crescente sostanzialmente per tutto il campione preso (dal 1995 al 2023). Nello specifico i consumi pubblici sono composti da:

1) I beni e servizi acquistati dal governo per fornire i servizi pubblici (es. spesa per beni e servizi destinati alla pubblica amministrazione, salari dei dipendenti pubblici etc)

2) Produzione di servizi pubblici non di mercato (ad es. spesa per ospedali pubblici, istruzione pubblica, difesa, giustizia)

(NB: i consumi pubblici non contengono i trasferimenti e gli investimenti pubblici, quest'ultimi racchiusi nella categoria 'Total Investments')

Quello che possiamo nitidamente vedere dalla diapositiva 3 è che la Germania ha speso dal 2010 molto più di quello che abbiamo speso noi per sviluppare e sostenere servizi pubblici (questo sicuramente data anche la diversa posizione debitoria di Italia e Germania che ha concesso maggior spazio ai tedeschi), in ogni caso questo si è inevitabilmente riflettuto positivamente sul Pil (reale) tedesco. Oltre ai consumi privati (la spesa delle famiglie), che presentano una divergenza significativa a partire dal 2010, mi colpisce la dinamica degli investimenti totali, che in Germania dal 2008 presentano un andamento crescente e che in Italia invece troveranno la via della crescita solo a partire dal 2020. Ciò che trovo opportuno fare nei prossimi giorni è approfondire ulteriormente questa dinamica degli investimenti totali, scorporandoli in investimenti privati e pubblici cosi da comprendere il ruolo dei governi tedeschi nel sostenere la propria economia.

Guardando a casa nostra, l'andamento dei consumi pubblici e degli investimenti totali (via investimenti pubblici) è figlio in parte anche di deliberate politiche economiche adottate (seppur da una situazione contestuale - quella della crisi del debito che abbiamo subito - che non consentiva particolare spazio quantomeno nell'immediatezza della crisi tra 2010/2011).

Ci risentiamo prossimamente con nuovi dati...


martedì 4 febbraio 2025

Intanto su mathlab...

Stacco momentaneamente dallo studio della sessione (che a Dio piacendo terminerò il 10 di febbraio) mostrandovi un lavoro che mi è costato un po' di fatica ma che a mio avviso ha una sua rilevanza in termini di riflessione su determinate dinamiche economiche europee. Ho scaricato dati da un notissimo e famosissimo database sull'andamento del Pil reale di Italia, Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna e Grecia. Normalizzando i dati a 100 nel 1995 ho sviluppato su mathlab la tendenza fino alla crisi subprime del 2008 estrapolandola poi per i periodi successivi del campione temporale (fino al 2023). 

(Lo so l'ha già fatta qualcuno prima di me questa operazione, ma io la declino per più paesi, con finalità comparativa)


Il risultato è quello che potete visualizzare di seguito:




L'unico paese che cresce lungo il trend pre 2008 è la Germania. Francia e Gran Bretagna hanno un'evoluzione abbastanza simile e lo stacco rispetto al trend è significativo. Italia Spagna e Grecia hanno flessioni ancor più rilevanti, pesano senza dubbio la crisi dei debiti sovrani e le conseguenti politiche (in particolare in Grecia). 

Il punto è che la risposta a tutto questo non può essere soltanto ''l'austerità!'' come qualcuno va da tempo dicendo. Sicuramente i provvedimenti della Troika in Grecia e le politiche restrittive di Monti in Italia hanno avuto un ruolo nell'amplificare la depressione della crescita che in Grecia e Italia si registrava già dalla crisi dei subprime......MA......

In Francia e in Gran Bretagna non vi è stato alcun consolidamento fiscale significativo in quegli anni. Per quale motivo quindi la Germania è riuscita a rimanere sul trend pre-crisi mentre Francia e Gran Bretagna no?



(Il tema è complesso.....quando sarò un po' più libero magari aggiungerò altri paesi e farò un paio di calcoli....per ora, saluti....)


I numeri della Striscia di Gaza dal 7 ottobre ad oggi

I dati relativi alle vittime e ai feriti nella Striscia di Gaza sono forniti su questo database dal Ministero della Salute di Gaza. Il data...